(Giuseppe Aragosa) Consultando, qualche anno fa, l'Archivio Storico delle Province Napoletane, abbiamo fatto una scoperta che, in un certo senso, interessa anche le terre dei Gambacorta, di cui fanno parte Melizzano, Frasso, Dugenta e Limatola: tra le dame di corte della regina d'Aragona, sorella di Ferdinando il Cattolico, vedova di Ferrante I di Napoli, si trovava una signora di nome Diana Gambacorta, definita ''favorida de la Reyna". Si sa che Giovanna d'Aragona divenne regina di Napoli dopo che rimase vedova di re Ferrantino. Ebbene, la regina Giovanna e la sua figliuola, anche lei di nome Giovanna, nelle loro missive si firmavano "La triste Reyna", come appare in una lettera della regina madre del 25 ottobre 1494 e nelle altre lettere conservate nel "Consultarium Summarie", vol. 8°, e in altri registri dell'Archivio di Stato, come ad esempio Privilegium Summarie, vol. 2°. Come riferisce il Croce, non si sa se per suggestione di questo poetico nome o se per ispirazione nata dai fatti stessi della loro vita, le due Giovanne, regine di Napoli, formarono oggetto di una bellissima romanza popolare spagnola, nella quale le loro due personalità sono confuse in una: in quella della "triste Regina di Napoli"[1]
Questa romanza, di autore ignoto, si trova raccolta per la prima volta nel Cancionero de romances del 1550, ed è stata ristampata, nelle due redazioni, dal Duran, nella sua raccolta Romancero General, ed. Rivadeneyra, vol. II, n° 1249 e 1250. Durante lo scontro franco-spagnolo nell'Italia meridionale, che si concluse con la vittoria della Spagna e il possesso di Napoli, di Terra di Lavoro e di tutta l'Italia meridionale, eccetto i porti pugliesi, la regina madre, "dolce, benigna, morigera, fedel, non importuna" (Cariteo), partita da Napoli il 2 settembre 1499 per la Spagna per far visita al fratello Ferdinando, rimase ivi con lui. Qualche anno dopo fu raggiunta dalla figliola. Madre e figlia nel novembre del 1506 tornarono a Napoli insieme a Ferdinando il Cattolico, "che veniva a sollevare dalle cure del governo il gran Capitano"[2]. Quando, nel giugno del 1507, Ferdinando il Cattolico se ne partì, le due regine rimasero a Napoli dimorando nel Castel Capuano, tra onori e riverenze, circondate da una magnifica corte, della quale facevano parte Isabella d'Aragona con la figliuola Bona Sforza e Beatrice d'Ungheria, nonché una nutrita schiera di dame, tra cui Diana Gambacorta e donna Giovanna Castriota. C'è da dire anche che, in quell' epoca, qualche nobildonna della famiglia Gambacorta, la quale al misticismo univa un intenso impegno nella pratica delle opere di carità, si fece promotrice della fondazione di monasteri, come Francesca Gambacorta. Questa, proveniente dalla SS. Annunziata di Nola, istituì a Napoli, nel 1518, il Monastero di Regina Coeli, insieme a un gruppo di benedettine del convento napoletano di S. Maria d'Agnone[3].
Ritornando alle due Giovanne, vediamo come gli eventi bellici, le morti, la fame che serpeggiava tra il popolo napoletano, forse, segnarono nel volto delle due regine quell'alone di tristezza di cui parlano i cronisti dell' epoca. Ma a rattristare le due regine era soprattutto la miseria e la carestia che ad ogni angolo delle strade di Napoli si poteva osservare quotidianamente. Nel 1505, infatti, il popolo rumoreggiò, perché viveva in tanta carestia, che “ad ogni famiglia si assegnava di poter comperare tanto pane quanto faceva strettissimo bisogno alla vita ...”. E da quest' epoca i fatti più frequenti della città di Napoli sono le rivolte della fame. Ne avvenne un'altra il 18 giugno 1508 contro lo stesso Paolo Tolosa, col quale il Viceré Ripacorsa era anch'egli a parte. Il popolo corse per la città gridando: "pane, pane! suonò la campana di S. Lorenzo ad arme"[4]. Erano tristi le due regine nonostante la vita sfarzosa e galante della nobile corte che faceva loro corona nel vecchio castello normanno, vita cantata da Galeazzo di Tarsia: "O felice, mille e mille amanti! diporto e di regal donne diletto! albergo memorabile ed eletto a diversi piacer quest'anni avanti ...[5]
Naturalmente, come sempre accade, nella loro vita familiare non tacque la maldicenza: il Filonico attribuiva alla regina Giovanna gli amori prima di don Giovanni Castriota, duca di Ferrandina, e poi di don Ferrando Alarcòn "spagnolo, capo di gente da cavallo in quel tempo, che per tal mezzo fu innalzato e ridotto da tempo in tempo in molti luoghi onorevoli e desiati"[6]. Addirittura altri cronisti parlano dei folli amori di Giovanna, la quale, dopo notti d'amore, faceva gettare l'amante nel cosiddetto "trabucco", di cui si conserva memoria in tanti castelli e in quello di Limatola e, forse, di Frasso e Dugenta[7]. E tutto questo avveniva nel palazzo di Somma. "Soggiunse altro autore che nel palaggio di questa Giovanna seconda a Somma, ove si ammalò e se ne morì, il re Ferdinando, secondo suo marito, il quale l'aveva stanziata per qualche tempo, come attesta il Guicciardini, v'era un trabucco, ove dicono che dopo che essa s'era sfogata con qualche amante lo facesse intrabboccare e morire" (Biblioteca Nazionale, Ms X c.21, pp.6-9). Di questa leggenda della Regina Giovanna parla anche il Croce nello scritto I ricordi della Regina Giovanna a Napoli, in «Napoli Nobilissima», vol.II, 1893, pp. 97-101. E comunque era sempre la Gambacorta a consolare le due regine, come si legge in qualche missiva. In una lettera, datata 7 gennaio 1512 e inviata dalla Regina madre a Don Ferrante d'Aragona, rinveniamo tanta umanità e il riferimento a scambi di piccoli doni che, allora come oggi, fanno lieti brevi momenti della nostra vita, quali torrone, susamielli, frutta invernale come Ie arance. "Don Ferdinando nostro dii' mo, ve rengratiamo grandemente del porco che ce avite mandato quale in verofo tanto bello et bono ch'a poco a poco ce l'havimo mangiato con la ser.ma Regina nostra figlia, et ancora ce ne è alcuno residuo, et ja fecemo dare la capo al nostro secretario secondo ce scrivissimo. El carriaggio se ne retoma no troppo carrico, puro con ipso ve mandamo una cascia con torrone nevole ypo- , cras et susamelli fructi che sapimo non se ricoglino in quesse parte: Et non ve marevigliate se ce troverete più noczi che donna Joanna havendo adobata la cascia de mano sua la imboctio de bona manera: et ve se mandano ancora le agrume che domandavino ad don Alfonso: et in cima de dicto carriagio per andare la salma justa va lo sclavetto che ve invia la serenissima regina nostra figlia" (Repert. Comune della Sommo, p.187).
Non poche lettere autografe della Regina madre, come altre di personaggi illustri, specie napoletani, dei primi anni del sec. XVI, si possono rinvenire in un prezioso codice della Biblioteca Nazionale di Parigi, fondo Spagnolo, n. 172, proveniente dalla Biblioteca Ruffo Scilla e descritto dal Morel Fatio, "Catalogue des mss. espagnols et portugais, p. 60 sgg). Una pubblicazione di tali lettere potrebbe gettare nuova luce su quel tormentato periodo della storia di Napoli e, forse, anche delle terre dei Gambacorta. Si sa che una parte preponderante alla corte della Regina madre avevano i Castriota cui apparteneva dona Juana Castriota, già ricordata. La Regina madre morì il 7 Gennaio 1517 (Passaro, Giornali 8, p 233) e fu sepolta provvisoriamente nella chiesa di S. Maria la Nova, in un sepolcro "con la sua natural effigie scolpita in bianco marmo senza iscrizione" (Summonte, Historia della città e del Regno di Napoli, ed. 1675, 1 v, 15-9).
Poco più di un anno dopo, il 27 agosto 1518, moriva anche la figlia Giovanna, non ancora quarantenne, e il suo corpo fu sepolto nella sagrestia di S. Domenico, accanto a quello di Re Ferrantino suo marito, ( Passaro, O.C., p. 271).
[1] B. Croce, La corte delle tristi Regine, in «Archivio Storico delle Province Napoletane», 1894, anno 19, fasc. 1- 4, pag 355
[2] Passaro, Giornali, 8, pag 145
[3] L. Ammirati, Il collegio nolano delle monache rocchettine tra Riforma e Controriforma, Nola, 1988, p.45
[4] Memorie di Napoli, Bronner editori, 1882, pp. XXI-XXII
[5] G. di Tarsia, Il Canzoniere, Cosenza, Bertelli, 1888, p.34
[6] Filonico, Vita di Isabella d'Aragona, ms Biblioteca nazionale, XB 67
[7] G. Aragosa, Limatola e il suo castello medievale, Estratto da quaderni della Biblioteca del Seminario di Caserta, voI IV, Caserta, 1997, p. 2
Ritornando alle due Giovanne, vediamo come gli eventi bellici, le morti, la fame che serpeggiava tra il popolo napoletano, forse, segnarono nel volto delle due regine quell'alone di tristezza di cui parlano i cronisti dell' epoca. Ma a rattristare le due regine era soprattutto la miseria e la carestia che ad ogni angolo delle strade di Napoli si poteva osservare quotidianamente. Nel 1505, infatti, il popolo rumoreggiò, perché viveva in tanta carestia, che “ad ogni famiglia si assegnava di poter comperare tanto pane quanto faceva strettissimo bisogno alla vita ...”. E da quest' epoca i fatti più frequenti della città di Napoli sono le rivolte della fame. Ne avvenne un'altra il 18 giugno 1508 contro lo stesso Paolo Tolosa, col quale il Viceré Ripacorsa era anch'egli a parte. Il popolo corse per la città gridando: "pane, pane! suonò la campana di S. Lorenzo ad arme"[4]. Erano tristi le due regine nonostante la vita sfarzosa e galante della nobile corte che faceva loro corona nel vecchio castello normanno, vita cantata da Galeazzo di Tarsia: "O felice, mille e mille amanti! diporto e di regal donne diletto! albergo memorabile ed eletto a diversi piacer quest'anni avanti ...[5]
Naturalmente, come sempre accade, nella loro vita familiare non tacque la maldicenza: il Filonico attribuiva alla regina Giovanna gli amori prima di don Giovanni Castriota, duca di Ferrandina, e poi di don Ferrando Alarcòn "spagnolo, capo di gente da cavallo in quel tempo, che per tal mezzo fu innalzato e ridotto da tempo in tempo in molti luoghi onorevoli e desiati"[6]. Addirittura altri cronisti parlano dei folli amori di Giovanna, la quale, dopo notti d'amore, faceva gettare l'amante nel cosiddetto "trabucco", di cui si conserva memoria in tanti castelli e in quello di Limatola e, forse, di Frasso e Dugenta[7]. E tutto questo avveniva nel palazzo di Somma. "Soggiunse altro autore che nel palaggio di questa Giovanna seconda a Somma, ove si ammalò e se ne morì, il re Ferdinando, secondo suo marito, il quale l'aveva stanziata per qualche tempo, come attesta il Guicciardini, v'era un trabucco, ove dicono che dopo che essa s'era sfogata con qualche amante lo facesse intrabboccare e morire" (Biblioteca Nazionale, Ms X c.21, pp.6-9). Di questa leggenda della Regina Giovanna parla anche il Croce nello scritto I ricordi della Regina Giovanna a Napoli, in «Napoli Nobilissima», vol.II, 1893, pp. 97-101. E comunque era sempre la Gambacorta a consolare le due regine, come si legge in qualche missiva. In una lettera, datata 7 gennaio 1512 e inviata dalla Regina madre a Don Ferrante d'Aragona, rinveniamo tanta umanità e il riferimento a scambi di piccoli doni che, allora come oggi, fanno lieti brevi momenti della nostra vita, quali torrone, susamielli, frutta invernale come Ie arance. "Don Ferdinando nostro dii' mo, ve rengratiamo grandemente del porco che ce avite mandato quale in verofo tanto bello et bono ch'a poco a poco ce l'havimo mangiato con la ser.ma Regina nostra figlia, et ancora ce ne è alcuno residuo, et ja fecemo dare la capo al nostro secretario secondo ce scrivissimo. El carriaggio se ne retoma no troppo carrico, puro con ipso ve mandamo una cascia con torrone nevole ypo- , cras et susamelli fructi che sapimo non se ricoglino in quesse parte: Et non ve marevigliate se ce troverete più noczi che donna Joanna havendo adobata la cascia de mano sua la imboctio de bona manera: et ve se mandano ancora le agrume che domandavino ad don Alfonso: et in cima de dicto carriagio per andare la salma justa va lo sclavetto che ve invia la serenissima regina nostra figlia" (Repert. Comune della Sommo, p.187).
Non poche lettere autografe della Regina madre, come altre di personaggi illustri, specie napoletani, dei primi anni del sec. XVI, si possono rinvenire in un prezioso codice della Biblioteca Nazionale di Parigi, fondo Spagnolo, n. 172, proveniente dalla Biblioteca Ruffo Scilla e descritto dal Morel Fatio, "Catalogue des mss. espagnols et portugais, p. 60 sgg). Una pubblicazione di tali lettere potrebbe gettare nuova luce su quel tormentato periodo della storia di Napoli e, forse, anche delle terre dei Gambacorta. Si sa che una parte preponderante alla corte della Regina madre avevano i Castriota cui apparteneva dona Juana Castriota, già ricordata. La Regina madre morì il 7 Gennaio 1517 (Passaro, Giornali 8, p 233) e fu sepolta provvisoriamente nella chiesa di S. Maria la Nova, in un sepolcro "con la sua natural effigie scolpita in bianco marmo senza iscrizione" (Summonte, Historia della città e del Regno di Napoli, ed. 1675, 1 v, 15-9).
Poco più di un anno dopo, il 27 agosto 1518, moriva anche la figlia Giovanna, non ancora quarantenne, e il suo corpo fu sepolto nella sagrestia di S. Domenico, accanto a quello di Re Ferrantino suo marito, ( Passaro, O.C., p. 271).
[1] B. Croce, La corte delle tristi Regine, in «Archivio Storico delle Province Napoletane», 1894, anno 19, fasc. 1- 4, pag 355
[2] Passaro, Giornali, 8, pag 145
[3] L. Ammirati, Il collegio nolano delle monache rocchettine tra Riforma e Controriforma, Nola, 1988, p.45
[4] Memorie di Napoli, Bronner editori, 1882, pp. XXI-XXII
[5] G. di Tarsia, Il Canzoniere, Cosenza, Bertelli, 1888, p.34
[6] Filonico, Vita di Isabella d'Aragona, ms Biblioteca nazionale, XB 67
[7] G. Aragosa, Limatola e il suo castello medievale, Estratto da quaderni della Biblioteca del Seminario di Caserta, voI IV, Caserta, 1997, p. 2