Giuseppe Aragosa da anni affronta l’esplorazione metodica e filologica della vita storica di queste Terre utilizzando le fonti classiche greco-romane. Con questo ultimo Quaderno le attraversa dalla distruzione romana dell’antica città osco-sannitica di Saticula, con il successivo insediamento di una colonia di diritto latino nel 313 a.C, fino all’edificazione di Saticola, lungo l’incrocio tra decumano e cardo che i romani tracciarono tra il Volturno e il Taburno, i Tifata e l'Isclero. Con quella colonizzazione i romani, nella loro espansione imperialistico-produttiva, centuriarono e misero a coltura il terreno agrario dell’intera valle dove oggi vivono le comunità di Dugenta, Frasso, Limatola, Melizzano, imprimendole quell’assetto agrario e paesaggistico secondo divisioni e direzioni che ancora si possono scorgere. Aragosa indaga attraverso le fonti letterarie il primo processo di antropizzazione stabile di queste Terre, evidenziandone con analiticità diversi aspetti. Consegna così agli studiosi, ma anche alle comunità oggi insediate in queste Terre, un documento prezioso per la conoscenza della loro storia. Conoscenza e consapevolezza sempre più necessarie per programmare, oggi, il loro divenire.
Bosco è il nome di battaglia del ventunenne Giuseppe Gisondi (1923-2011), partigiano in Val Trebbia nel 1944, nella brigata Cichero, comandata da Bisagno (Aldo Gastaldi primo partigiano d’Italia). Questo Quaderno, costruito sulla documentazione originale manoscritta, in parte ora pubblicata, affidata dallo stesso Bosco all’Associazione, è introdotto da un saggio del suo presidente, Antonio Gisondi, dell’Università di Salerno, ed è impreziosito dalla Premessa di Maurizio Viroli, già consigliere culturale del presidente Ciampi, professore di teoria politica alla Princeton University e all’Università della svizzera italiana. Viroli ha assunto l’esperienza partigiana di Bosco a simbolo della moralità della Resistenza, della forza morale, prima ancora che politica o ideologica, che sollecitò tantissimi giovani a rischiare la vita per la nascita della patria democratica e li spinse al superamento di qualsiasi regime di partito unico, diventando fondamento sia della lotta armata contro il nazifascismo che della nuova società democratica. Sulla base del manoscritto del processo, conservato nell’archivio diocesano di Napoli, il Quaderno racconta la storia ignota e intrigante di un processo inquisitoriale - celebrato tra Frasso Telesino e Napoli dal 9 novembre 1569 al 28 giugno 1570 - contro il medico, filosofo e giurista Gian Francesco Brancaleone. È proprio un frassese a denunciare Brancaleone di mangiar carne nei giorni proibiti, di usura e bestemmia, di possesso di libri proibiti e altro. Ma il vero regista dell’accusa è il signore di Frasso, don Pietro Gambacorta, insieme al nipote Fabrizio che da poco, sposando la cugina Virgina, è diventato principe di Frasso, oltre che di Limatola e di Dugenta. A sua volta, però, Brancaleone, originale studioso di medicina e filosofia naturale, il 5 luglio del 1569 aveva denunciato alla Sommaria e alla Vicaria un’enorme evasione fiscale dei Gambacorta, dal 1509 in poi. Evasione che è stata accertata. Il ricco succedersi storico di forme di vita, di genti, di comunità e civiltà diverse nell'ampia e ubertosa valle che da Capua si estende verso l'interno, fino alla piana di Limatola e alla confluenza dell'Isclero nel Volturno, è testimoniata da documenti e monumenti noti e conservati. Quanti sono, invece, quelli dispersi? Rinvenirne qualcuno, come l'ara nel castello di Limatola, studiarlo, significa gettare un po' di luce sulla parte ancora oscura della nostra storia. E' quello che ha fatto Giuseppe Aragosa con questo quarto Quaderno. Insieme ai 150 anni dell'Unità nazionale e della nascita della Provincia, Dugenta può e deve ricordare anche il suo lungo e difficile Risorgimento. Avviato nel 1859 dai suoi avi per conquistare l'autonomia comunale e realizzare, così, la sua (piccola) patria locale, il lungo Risorgimento di Dugenta è durato un intero secolo, quando finalmente nel 1956, con la legge n. 1398 del 1° dicembre, divenne comune autonomo. Contadino con licenza elementare, cresciuto in una comunità rurale del mezzogiorno interno nel mito del duce e della patria fascista, già padre di un bimbo di 4 mesi, a 26 anni, agli inizi di maggio 1940, Marcantonio Ciervo è richiamato alle armi e mandato in Libia, proprio nei giorni in cui Mussolini gettava il paese nel secondo conflitto mondiale. La sua esperienza di soldato e, poi, di prigioniero di guerra - in Sud Africa, a Zonderwater, quindi in Gran Bretagna, a Loughborough - ce la racconta lui stesso, giorno per giorno, nel diario che conservò gelosamente per tutta la vita. Queste memorie, la cui pubblicazione è stata curata dalla figlia, ci restituiscono la figura di un "antieroe", di un giovanissimo padre e marito che, in nome del saldissimo legame familiare e comunitario, affronta la guerra, imposta dalla retorica fascista e imperialista, senza farsi travolgere dall'enfasi militarista. Le civiltà classiche hanno immortalato il Volturno come divinità: nel museo campano di Capua il busto che lo rappresenta è sormontato da una testa vigorosa, cinta di canne fluviali. Dall'omero sinistro riversa un flusso abbondante di placide acque che si aprono, poi, un percorso lungo e tortuoso, segnato, però, e protetto quasi, dallo sguardo intenso del dio, che sembra benevolmente dirigerle verso la foce lontana. Il 27 agosto era festeggiato con i Volturnalia.Vera autostrada dell'antichità, grazie anche ai suoi affluenti, il Volturno univa la koinè campana al Mediterraneo. Risorsa quasi divina, quindi, che ha consentito la vita - umana, naturale e vegetale - anche delle Terre dei Gambacorta. Tra i prodotti che meglio esprimono la creatività culturale e colturale dell'uomo, il vino è senz'altro il più antico e il più diffuso. Almeno in Europa e in tutto l'Occidente. E così è, da millenni, anche nelle "Terre dei Gambacorta", Dugenta, Frasso Telesino, Limatola, Melizzano. Dove, infatti, la produzione di vino costituisce la principale risorsa originale, capace di attrarre mercati di pregio, investimenti e di creare occupazione. Da sempre l'uomo ha considerato il vino dono degli dei e mezzo per onorarli. Nei culti cattolico-cristiani, insieme al pane, il vino è simbolo della virtù salvifica del Cristo redentore. In culture precedenti è stato l'elemento privilegiato di mediazione tra l'uomo e il dio, tra il finito e l'infinito. Il vino rappresenta colui che l'offre: esprime innanzitutto, però, la personalità, la professionalità di chi lo produce e l'anima dei luoghi. Il vino, quindi, come paradigma dellerelazioni sociali e comunitarie: in vino veritas... E' noto che la principale risorsa di un territorio è la forza intellettuale e morale dei suoi abitanti: il suo capitale umano. Se le risorse naturali costituiscono un dato o una premessa che differenzia tra loro i territori, è l'energia di intelletto e volontà che li attiva e dà loro una specificità o individualità. E' questa la risorsa primaria che il dizionario ha voluto scoprire e raccontare, ricostruendo la vita, irripetibile e unica, di 98 persone. Nate e/o vissute in quello che fu il feudo dei Gambacorta, queste vite sono uno spaccato che copre la vicenda umana di cinque secoli, dal 1500 al 2006: uomini e donne del nostro territorio, quasi tutti ignoti ai più, eppure capaci di creare nuove condizioni di vita e di benessere per sé, per la propria famiglia e per la propria comunità, pur svolgendo funzioni e ruoli diversissimi. |
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Luglio 2015
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